La Walking Street è Pattaya.

La prima discoteca è stata la Marine Disco, al centro della Walking Street.

Un locale che alle 2 di notte, come tutti gli altri nella zona, è ancora da spolverare. Sono stata dentro mentre un simpatico ragazzo gay decorava le pareti con le stelle filanti natalizie e un gusto assurdamente strambo, che parla del lontano immaginario natalizio occidentale e di come viene visto da queste persone. Me lo ricordo con stanchezza.

La struttura di Marine Disco è cambiata nel tempo, prima si entrava dalle scale sulla sinistra, ora dalle scale mobili a destra; il bancone principale era quadrato e a destra, adesso questo è rotondo e un diverso bancone quadrato è apparso dove c’erano le scale un tempo. Tra i due una sconfinata, nera, morbida e ricca di oscuri presagi e memorie pista da ballo inchiodata da scheletrici tavolini con sgabelli di metallo, top model dell’arredamento a go go, un vago vaghissimo stile anni 50 ma anoressico. La postazione del dj è invece rimasta uguale, la prua di una barca di legno che penetra la pista da ballo, pur sparendo con il resto nell’oscurità, come con discrezione fanno le coppie che si defilano. E’ un posto enorme, l’avevo detto. Più in là, in uno spazio delimitato da luci diverse, che un tempo ospitava il locale “Real Dolls”, adesso scomparso, dei gran bei tavoli da biliardo in attesa di essere usati. Non riesco a giocarci a biliardo in questa Pattaya. Un coso che dovrebbe essere un buttafuori, ma somiglia a un taxista di tuk tuk steso da un colpo di sole, se la dorme sdraiato sui divanetti all’ingresso delle scale mobili. Sono le 2 di notte ed è solo l’ora delle pulizie, l’avevo detto.

Sotto il locale, un ring dove si disputano incontri di Muai Thai aperti al pubblico. Il nostro, del tutto unfair, vede sfidarsi un lottatore che definirei welter e uno che direi chubby, che si menano di brutto dei gran calci alti. Si, il secondo è agilissimo e sembra avere la meglio.

Negli anni, intorno a questo dinosauro di discoteca, hanno aperto tutti gli altri famosi locali della Walking Street, e oggi le insegne al neon si aggrappano l’un l’altra in una corsa agli ultimi centimetri di cielo, coprendo la strada con un tetto di delirio che inneggia slogan come “Happy Happy” o “Happy a GoGo”. A terra, le ragazze dei locali fanno lo stesso, e si dispongono in fila in divisa mutandina-reggiseno, di un colore diverso a seconda del club, davanti alle avversarie del locale di fronte. Richiamano il cliente con voci e gridolini fanciulleschi dai toni troppo alti per non irritarmi i timpani, come fanno tutte le venditrici in Asia del sud, sto scoprendo. Come le massaggiatrici, si lisciano sul 50-60enne caucasico imbarazzantemente bolso e completamente non attraente, che caracolla nelle sue infradito e tshirt rosa, riuscendo con difficoltà a mascherare un compiacimento che gli esprime tutto l’essere nonostante.

Sono tutte “living dolls”. Bambole vive, o bambole ancora in vita.

Più in là, il locale delle miss siliconate sembra aver rubato molti clienti alle normali dolls, negli ultimi anni. Cosi come sembra che il futuro non sia delle russe, sbarcate con gli aerei assieme al rublo amico, ma dei transgender o meglio ancora, delle native insuperabili ladyboy, smascherabili solo dalla voce (“per cui prima di innamorarvi di una bella ragazza thilandese, parlateci” la raccomandazione di M.S., una ragazza autoctona che non intendeva dire certo di parlarci per saggiarne le affinità elettive…)

Migriamo.

Quando sento della musica metallo mi viene sete ed entro convinta in una barcona di legno con palco sulla strada che mi regalerà le ore più divertenti da quando sono qui, e non era difficile. Immancabili i gran biliardi in fondo la sala, che non riesco a usare.

Un gruppo metal di filippini che sembrano messicani vestiti da cowboy dark, intona i grandi successi degli anni 60, 70 con una punta di 90.

Led Zeppelin, ACDC, Scorpions, Deep Purple… la musica suonata è in generale nostalgicamente ferma agli anni in cui gli storici turisti erano giovani, quegli stessi che continuano a venire anche oggi, con quei loro tatuaggi fuori moda e sbiaditi, a spiaggiarsi come balene, a morire come gli elefanti nella versione squallida del cimitero mistico.

E ripenso ai nomi di Maya e Jom, e alle loro storie.

Negli anni del Vietnam, i marines venivano a fare qui una sosta di 10-14 giorni. Ed allora le navi approcciavano il porto e loro scendevano, la folla li salutava felice, e loro sfilavano per le strade. Pattaya era un villaggio di pescatori di 20000 anime, ragazze delle provincie più povere, come Sakon e Udon, al nord, raggiungevano questo posto per lavorare e dar da mangiare alle loro famiglie. Nasceva la Marine Disco. Per le strade della città, sentieri della giungla, si incontravano liberamente elefanti, scimmie e serpenti.

Anche oggi un numero di ragazze giovani che sfugge alla mia comprensione arriva in città, nel frattempo diventata abnorme, per lavorare. Affitta un tugurio a 2000-2500 bat al mese ( 50 euro e più, una follia ) che viene loro concesso a credito, dove il materasso è in terra vicino la turca. Se il credito non viete ripagato entro 10-15 giorni le ragazze vengono anche picchiate. Nel frattempo la baia di Naklua non è più assolutamente balneabile, i grattacieli hanno tolto la vista del mare a tutti gli altri e davvero solo chi qui si divertiva in quegli anni può trovare un motivo, che si chiama nostalgia, per tornare.

Anche negli anni 90 le ragazze vivevano insieme per dividere spese già alte.

Pah viveva con la sua amica Jom, avevano da poco 20 anni. Tutte e due lavoravano nella Walking Street, al Bar Linda, sotto la Marine Disco. Entrambe si innamorarono di un falang, uno straniero. Quello di Pah era gentile, le comprava gli occhiali da vista perché lei era cieca come una talpa, e lei puntualmente li rompeva pensando che la rendessero brutta, e su quella bellezza si giocava tutta la vita. Il biondino di Jom le prometteva l’amore vero, di sposarla e di portarla in Italia, a vivere in quella casa nella zona Fiera di Bologna da cui avrebbe mandato via lo zio sciagurato. E che invece gli venne asfaltata quando cominciarono i lavori delle Torri di Tange.

Come successe a molte altre ragazze thailandesi, all’apparir del vero, il falang sparì senza lasciare traccia, tranne che il male.

In quegli anni le ragazze innamorate e lasciate da un falang non di rado si facevano dei tagli sulle braccia in segno di sofferenza. Negli anni successivi cominciavano a sniffare colla, poi arrivarono le pasticche di oggi.

Maya, un’amica di Nu Deng, la venditrice di numeri della lotteria all’angolo, aspettò il suo falang per due anni, ma non lo rivide mai più.

Maya si impiccò all’albero sacro della Second Road, vicino a dove oggi c’è il Grand Sole Hotel.

Jom penzolò dall’albero tra il Bar Linda e la Marine Disco, sacro anch’esso, e a quanto pare era quello che andava per la maggiore tra le abbandonate.

Questi alberi sono li ancora adesso, coperti da tessuti colorati, circondati da offerte e voti, perché gli spiriti delle suicide trovino la pace e non si aggirino tra i vivi.

Ogni notte, davanti quest’albero nel mezzo della Walking Street le living dolls dei locali, come facevano una volta Jom e Pah, sorridono seminude accogliendo turisti, per lavoro.

Ma sperano forse di vedere il mondo, e di certo sperano di fare più strada che quei pochi metri che già le separano dalla loro postazione di living dolls, dalla loro scatola di cartone piena di lucine colorate e coccolerie, ai rami dell’albero. Sperano forse anche nell’amore che le renda felici, e non in quel sortilegio pieno di sciovinismo che le trasformi in bambolacce livide appese a una fune.

Eppure mi diverto, perché compongo il gruppo del turismo nuovo, quello che sta mettendo il vecchio gruppo in un angolo tetro premortuario e si sta accaparrando le piste da ballo: giovani da tutto il mondo che vogliono divertirsi, e in special modo donne, giovanissime e belle, dalla cina, dal giappone dalla russia dall’america da ovunque. Che vengono, spendono e se ne fottono della vecchia capitale della prostituzione.

Tra di queste, non mancano come è chiaro, giovani thai attraenti che ripercorrono il vecchio cammino delle antenate: ragazze in assurdi calzoncini corti e tacchi che, bevendo una cocacola, pompano l’ego del giovane sfigato che sennò a casa sua non rimorchia mai; e i due mondi non si scontrano ma convivono.