I nostri occhi

I nostri occhi

A Tokyo il cielo era rosa e viola e la città impazziva. In alto passava un dirigibile, che contro il tramonto era solo una sagoma nera.

Ero sul più alto grattacielo, al tramonto, la Roppongi Hills. C’era solo vetro e sembrava di essere sospesi nell’aria. Bevevo Heineken in bottiglia, e scattavo polaroid.

Ero distrutta da tutta quella bellezza. E ricordo che maledii il mio ex, per non essere li con me, perché volevo condividere quel panorama, e invece lo vedevo da sola. E con nessuno che era li con me lo avrei ricordato un giorno, e con quelli con cui l’avrei ricordato un giorno non avrei condiviso le stesse emozioni, perché non c’erano in quel momento.

Forse gli esseri umani possono suddividersi anche rispetto le reazioni intime verso la bellezza.

Ci sono persone come me che di fronte la bellezza muoiono dentro, in un gesto di devozione estrema.
Esiste il bisogno di annullarsi, come individuo. In alcuni casi questo non è ricercato, ma subìto. Quando mi annullo, muoio. Quando muoio sono serena, cado nel limbo e tutto tace. Calmo, finalmente. Quando non succede questo, l’ego si alza e vola. A volte è piacevole, rende visibili agli occhi degli altri. E questo mi da calore, rende bene l’idea di un essere umano, di essere un essere umano. Ma non c’è pace in questo stadio. C’è scontro, eccesso di dinamo ed innesco, incertezza. C’è iato. Ed alterità. Ed io non voglio questo.

Coltri sotto cui riposare, perché sono stanca, piuttosto.

La sfida, eccola semmai, immergermi nella mia vita, dove ci sono solo io, io contro io, io con io. Parlarmi. Per essere quegli occhi vostri. Quegli occhi miei.

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